Salvatore Iacopino | Famiglia Iacopino di Palizzi
Iacopino, Palizzi, Bagaladi, Genealogia
1856
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Cap. 5. Famiglia, mestieri e vita palizzese ottocentesca

Cap. 5. Famiglia, mestieri e vita palizzese ottocentesca

La famiglia di Tomaso e Bruna nella prima metà dell’Ottocento

Ma come trascorreva la vita della coppia? Come vivevano Tommaso e Bruna?

Abbiamo visto che di professione Tomaso faceva il ferraio (u forgiàru), l’artigiano che lavorava il ferro producendone vari oggetti. Anche la professione di Pasquale, padre di Tomaso, era quella di ferraio. E  ferraio era pure quel Vincenzo Iacopino di Condofuri (probabilmente il fratello), che aveva fatto da testimone della morte della prima moglie di Tomaso, assieme a mastro Bruno Falcomatà, anch’egli ferraio.  Come vedremo più avanti, Ferraio sarà pure il mestiere di uno dei figli di Tommaso. Evidentemente, in una certa fase storica, la mia fu una famiglia di mastri ferrai.

 

In un paese come Palizzi, a vocazione agricola, il ferraio doveva godere di una certa considerazione, non potendosi certo fare a meno dei suoi lavori. Riesco quasi ad immaginare questo mio antenato al lavoro nella sua bottega (la forgia di mastro Tomaso Iacopino). Il mantice a forma di soffietto sempre a portata di mano, per tenere il fuoco sempre vivo; l’incudine, le tenaglie, i martelli e le mazze, pronti a modellare il ferro incandescente, che sotto i suoi colpi vigorosi, diventava zappa, vanga, accetta, falce, piccone e persino ferro di cavallo. Il “forgiàro”, infatti, era anche maniscalco che ferrava gli asini e i muli.

 

 

 

 

La moglie di Tomaso, Bruna Profazio, svolgeva la comune attività di filatrice, un’attività prettamente femminile, che consisteva nel trasformare una massa informe di batuffoli di lana, canapa o lino, in un filo da lavorare per ricavarne coperte, maglie, calze e abiti vari.

Mi pare quasi di vederla, Bruna, che avvolge il batuffolo da filare nella conocchia, tenendo la rocca sotto il braccio sinistro, mentre con la mano destra fa girare il fuso, nel quale il filo viene allungato e avvolto con un rapido moto circolare.

Bruna deve aver svolto questa attività di filatrice per gran parte del tempo in stato di gravidanza. Infatti, nel corso dei primi quindici anni successivi al matrimonio, Tomaso e Bruna registrarono presso lo stato civile del Comune di Palizzi la nascita di ben sette figli (che, per Tommaso, aggiunti ai tre figli avuti dal primo matrimonio con Nunzia Sideri, facevano dieci).

Gustave Courbet Filatrice addormentata, olio su tela, 1853, Montpellier Musée d’Orsay

                         Gustave Courbet Filatrice addormentata, olio su tela, 1853, Montpellier Musée d’Orsay

Dunque, appena sposati, nell’agosto del 1834, in casa di Bruna e Tommaso a Palizzi c’erano i tre bambini nati dal precedente matrimonio di Tommaso: Bruna, Pasquale e Francesco.

 

1835. Morte del piccolo Francesco

Appena un anno dopo, esattamente il 9 settembre del 1835, Francesco, il più piccolo dei figli nati a Condofuri, morì all’età di circa tre anni

 

1836. Nascita (e morte) di  Fortunata

Agli inizi del 1836 nacque Fortunata, la primogenita di Bruna.

Il dì 4 del mese di Febbraio, alle ore 15 avanti di noi Giuseppe Naimy Sindaco ed uffiziale dello Stato Civile del Comune di Palizzi,  Distretto di Geraci, Provincia della Prima Calabria Ulteriore, è comparso Tomaso Iacopino  di anni 40, di professione Ferraio, domiciliato in Palizzi, il quale ci à presentato una Bambina, secondo che abbiamo ocularmente riconosciuto, ed ha dichiarato che è sua propria figlia, generata in costanza di Legittimo Matrimonio, con sua moglie Bruna Profazio, di anni venti,  filatrice domiciliata in Palizzi. Lo stesso à inoltre dichiarato di dare alla  bambina il nome di Fortunata Iacopino.

I testimoni intervenuti al presente atto, e da esso signor Tomaso Iacopino prodotti furono: Leonardo Callea di anni settanta, di professione bracciale e Giovanniandrea Profazio, di anni cinquantasette, di professione massaro, entrambi di Palizzi e “crocesegnati”in calce all’Atto di nascita. Stesso segno di croce fu apposto per il dichiarante Tomaso Iacopino.

Il Sacramento del battesimo fu amministrato alla bambina nello stesso giorno di giovedì 4 febbraio 1836,  nella vicina Chiesa di Sant’Anna.

Fortunata fu la prima persona della mia famiglia a nascere a Palizzi. A nascere e a morire! La piccola, infatti,  morì prima di aver compiuto sette mesi. Alle ore sedici del 22 agosto 1836 il Cancelliere del Comune di Palizzi, Giovanni Lucianò, ricevette quelle stesse due persone, che avevano fatto da testimoni della nascita della bambina, Leonardo Callea e Giovanniandrea Profazio, che venivano adesso a denunciare la morte, avvenuta quello stesso lunedì 22 agosto, alle ore tredici.

La piccola Fortunata fu, quasi certamente, seppellita nella Chiesa di Sant’Anna, che continuava ad essere adibita all’uso cimiteriale, malgrado da un quarto di secolo le leggi napoleoniche avessero vietato di seppellire cadaveri nelle chiese. Il punto esatto in cui il corpicino di Fortunata, come quello di tutti gli infanti, deve essere stato seppellito è sotto la Cappella del S.S. Sacramento, a sinistra dell’altare maggiore, dove si trovava il cimitero dei fanciulli. Il cimitero comune invece si trovava sotto la volta del pavimento, al centro della navata centrale, mentre il cimitero dei Sacerdoti era sotto la cappella dello Spirito Santo, a destra dell’altare maggiore.
 1838  Nascita di Paolo Vincenzo

Un anno e mezzo dopo la morte della piccola Fortunata, in casa di Tomaso, dove c’erano Bruna, ormai di 9 anni e Pasquale di 8, arrivò un altro maschietto. Era il 29 marzo 1838: al piccolo venne dato nome Paolo Vincenzo.

Intanto, proprio in quel periodo a Palizzi maturò l’idea di costruire un cimitero.

Con quasi trent’anni di ritardo dall’entrata in vigore delle leggi napoleoniche, nel 1839 il Sindaco di Palizzi, Francesco Vittrici,  affidò finalmente il progetto di costruzione di un cimitero all’ingegnere di acque e strade  Gennaro Banchieri. Come risulta dai documenti di archivio, rispolverati da Fortunato Plutino, i criteri di stima della terra occorrente furono calcolati assegnando Palmi quadrati 28 ad ogni cadavere pel fosso e per lo spazio tra l’uno e l’altro e aggiungendo i palmi relativi per l’edificazione di una Cappella […] un vano di ingresso al Camposanto […] la casa del Custode e altre particolari tombe gentilizie […] lo spazio per il muro di cinta.  Complessivamente risultò occorrente un’area di palmi quadrati 26.732.

L’ampiezza del cimitero fu prevista in base ad un calcolo di 33 morti all’anno e fino ad un massimo di 55, su una popolazione che in quell’anno ascendeva a 1662 anime. Quanto agli altri criteri generali nel progetto si scrisse che:

il Cimitero sarà costruito in un luogo che non disti meno di un quarto di miglio – giusto quanto prescrivono le superiori disposizioni – e non oltrepassando al più tre quarti. E che per rispetto ai venti denominati Boria stabilirsi in modo che questi non spingano le esalazioni in detto abitato. Che il terreno sia al quanto sciolto, non umido, e che non abbia acqua alla profondità di Palmi sette. (Cfr. Fortunato Plutino, op. cit., p.465.)

Tutto però rimase allo stato progettuale e i morti continuarono ad essere seppelliti alternativamente dentro la chiesa di  Sant’Anna e in quella di S. Sebastiano.

1839  “Adozione” di Caterina

A poco più di un anno di distanza dalla nascita del piccolo Paolo Vincenzo, Tomaso si ripresentò nuovamente, per un’altra nascita, presso gli uffici della Casa Comunale di Palizzi, che in quegli anni aveva come Sindaco Giuseppe Romano.

Erano le ore 10 del 1 Giugno 1839.  Questa volta però Tomaso non si presentò come padre biologico, ma portando in braccio una bambina, la quale la notte scorsa fu ritrovata avanti l’ingresso della sua [di Tomaso] abbitazione verso le ore quattro, nata di fresco, senza che[egli] potesse appurare i suoi Genitori. Lo stesso [Tomaso] à inoltre dichiarato di dare alla bambina il nome di Caterina Iacopino. Testimoni al presente atto furono il trentenne Sebastiano Callea, di professione Bracciale, e l’ormai noto massaro Giovanni Andrea Profazio, che in questo caso dichiarò di avere anni sessanta.

 

La bambina dunque era una “trovatella”. A quei tempi gli abbandoni di bambini non erano certo rari; stupisce però che per l’abbandono della piccola Caterina non si sia fatto ricorso alla “Ruota” o “rota degli esposti”, che a Palizzi era gestita da oltre dieci nutrici. [1] A meno che non si sia trattato di una figlia illegittima proprio di Tommaso e quindi abbandonata presso la sua abitazione di proposito!

[1]     Come è noto, anche se una “Ruota” (quella della Santa Casa dell’Annunziata) era già presente a Napoli fin dal 1600, fu con l’arrivo dei francesi di Napoleone che la “Rota proiecti” venne ufficialmente istituita anche nei comuni dell’Italia Meridionale, per la tutela pubblica dell’infanzia abbandonata.

La rota degli esposti o dei projetti

La rota degli esposti o dei projetti  era un meccanismo girevole di forma cilindrica, di solito costruito in legno, diviso in due parti chiuse per protezione da uno sportello: una verso l’interno ed un’altra verso l’esterno che, combaciando con una apertura su un muro, permetteva di collocare, senza essere visti dall’interno, gli esposti, i neonati abbandonati. Facendo girare la ruota, la parte con l’infante veniva immessa nell’interno dove, aperto lo sportello si poteva prendere il neonato per dargli le prime cure.

Proprio in quegli anni (1842-43) a Palizzi si registrò una singolare controversia tra l’Ufficio dell’Intendenza e il Comune, che doveva provvedere al pagamento delle nutrici e dell’affitto del locale in cui era installata la Ruota.

Con un Ordine del 10 novembre 1842 l’Intendente di Calabria Ultra Prima intimò all’Amministrazione di Palizzi di liquidare le spettanze arretrate alle Nutrici dei Projetti. Ma l’Amministrazione in carica quell’anno (Sindaco Francesco Vittrici) evidenziando le difficoltà di Bilancio, si rifiutò di pagare quanto dovuto, pregando, addirittura, l’Intendente di

<<ritrovare un mezzo onde togliere tanti Projetti a questo Comune, poiché tali frutti innocenti dell’altrui piacere non dipendono da questo Comune, ma bensì dai circonvicini…>>.

Lo stesso rifiuto fu opposto dall’Amministrazione insediatasi l’anno successivo (Sindaco Giuseppe Vittrici, succeduto al padre, Francesco). La motivazione principale era sempre quella della mancanza di fondi; ma non solo! Quand’anche, infatti, tali fondi si rendessero esigibili,

<<qual’ è l’opra necessaria? Sovvenirsi i Projetti, oppure riparare le cadenti Chiese di questa, e del riunito Comune? Pare, ed ogni Giustizia lo detta, che l’opra necessaria è quella della nostra Santa Religione…>> ( Cfr. F. Plutino, La terra di Palizzi, , ed. Rexodes Magna Grecia, Reggio Calabria, 2000, pp.468).