04 Giu Della morte e del morire
Da sempre il problema della morte incombe su ogni essere pensante; in ogni tempo e in ogni tipo di società l’uomo ha tentato di rappresentarsi la morte, di immaginarla, di comprenderla intellettualmente, riflettendo sulla sua origine, sul suo significato, sulle sue conseguenze, ed escogitando diversi sistemi di credenze e varie strategie di comportamento per proteggersi dall’angoscia nei suoi confronti.
Ma anche quando non sembra suscitare un’attiva e consapevole riflessione, il pensiero della morte non è per questo assente: agisce nascostamente negli uomini, influenzandone comportamenti, usi e costumi.
L’uomo è quasi di continuo accompagnato da questa invisibile e muta compagna, che opera a vari livelli di consapevolezza; essa si rende presente in modo fulmineo in quel senso di vertigine che coglie l’uomo quando di tanto in tanto si sorprende a pensarsi mortale, a pensare, con rinnovato stupore, il proprio annientamento totale e irreversibile.
È l’interazione immaginaria con questa inquietante compagna che attribuisce una tonalità emotiva particolarmente nostalgica all’esperienza vissuta. Insomma, la presenza della morte sovrasta – in maniera manifesta o latente – i sentimenti più profondi di molte persone.
La scelta della morte come argomento di scrittura può forse stupire. Se ciò deriva dal fatto di giudicare lugubre e triste tale argomento, allora la radice di tale stupore diviene essa stessa, implicitamente, oggetto di critica da parte di chi scrive, poiché in realtà, il mio fondamentale e vero oggetto di interesse è l’uomo e la sua vita, ma poiché l’immagine della morte influisce sull’immagine di sé e sull’interpretazione della propria condizione esistenziale, ogni riflessione che voglia avvicinarsi alla comprensione dell’uomo si vede obbligata ad un confronto più o meno esplicito con la problematica tanatologica.
Riflettere sull’atteggiamento attuale di fronte a Thanatos può contribuire, allora, a farci capire come l’uomo contemporaneo pensi se stesso, come interpreti la propria condizione umana; e il presente lavoro vuole essere, appunto, un modesto contributo alla riflessione sul modo (occidentale e tardo-moderno) di pensare e di affrontare la fine della vita.
Negli ultimi cinquant’anni il tema della morte è stato l’oggetto di studio di numerosi autori, che lo hanno affrontato muovendo da molteplici prospettive disciplinari: filosofia, sociologia, psicologia, antropologia, storia, religione, scienze biologiche e mediche, scienze demografiche, ecc.. A prima vista, può sembrare quanto meno singolare che un tale incremento della letteratura su Thanatos si registri proprio oggi che il pensiero della (e sulla) morte viene sospinto sempre più ai margini della riflessione: un’epoca nella quale prevale – almeno nelle società occidentali – l’impulso individuale e sociale alla rimozione. I risultati, infatti, cui giungono le diverse indagini della letteratura socio-antropologica su questo tema non lasciano adito a dubbi: la morte nella società moderna è, per quanto possibile, negata, rifiutata; l’atteggiamento più comune rimane quello della sua elusione e del suo nascondimento.
Questa tesi della ‘rimozione collettiva’ – frutto della constatazione che per la generalità degli uomini moderni la morte è sempre lontana, rimandata in un tempo futuro e occultata con ogni mezzo – è diventata negli ultimi anni molto nota e diffusa, quasi un luogo comune nell’ambito della letteratura specialistica.
Eppure, nonostante ciò, e nonostante il moltiplicarsi degli studi su questo tema, parlare oggi della morte, tentando anche di farla rientrare nei discorsi sulla vita, rimane ancora piuttosto difficile.
Ma in che modo si può affrontare l‘argomento ‘morte’? Al di là delle innumerevoli differenziazioni e distinzioni concettuali, è possibile operare una fondamentale distinzione fra due piani: quello della morte e quello del morire, quello cioè del concetto o ‘idea’ della morte, e quello del ‘processo’ del morire.
Questi due aspetti, che nella realtà sono naturalmente intrecciati e interdipendenti, neppure nel mio lavoro saranno rigorosamente distinti, ma farò riferimento, a seconda dei casi e delle esigenze argomentative, ora all’immagine della morte ora alle forme del morire, ora al pensiero sulla morte ora al modo in cui gli uomini muoiono (o assistono chi muore): una riflessione, quindi, tanto sulle rappresentazioni della morte, quanto sulle esperienze individuali e collettive del morire.
Per fare ciò, l’intuizione e la riflessione personale si servirà naturalmente del lavoro di molti autori, tra cui alcuni classici della letteratura storico-tanatologica contemporanea, come Philippe Ariès, Louis-Vincent Thomas, Jean Ziegler, Vladimir Jankélévitch, ecc.. Appuntamento, dunque, al prossimo articolo.