Cacanòzzuli | feci a palline, a forma di noccioline, tipiche quelle caprine. |
Cacarèddha | (sim. “sciorta”): diarrea. In senso figurato: paura, strizza. |
Cacarùni | fifone, pauroso. |
Càia | piagha |
Calamandrùni | Anche e soprattutto, “Calandruni”. Seppure aventi forse un etimo diverso (Calandruni sarebbe letteralmente un ‘uomo di bell’aspetto’, dal greco kalòs, “bello” e andros, “uomo”) mentre ‘Calamandruni’ indicherebbe anche un uomo pigro, scansafatiche, se non addirittura un po’ stupido, i due termini a Palizzi erano usati pressoché indifferentemente per indicare un uomo di grande statura, dal fisico alto e possente, uno spilungone. |
Calamissà | “Kalamitza”, toponimo di area rurale a nord di Palizzi, dove si sarebbero stabiliti, ne IV sec. d.C., gruppi di profughi sociali ‘italioti’ provenienti dalle marine della Locride, che avrebbero dato origine alla prima comunità di Palizzesi. Nel VII sec., infatti, questi popoli avrebbero lasciato la campagna di Calamissà per stabilirsi sotto la grande rocca, dove attualmente si trova l’abitato del paese. (Fonte: F. Rossi, Sotto la rocca di Palizzi. Tip. offset Kuhar, Trieste). |
Calandrèddhi | calzature primitive fatte con la pelle delle vacche o altri materiali di fortuna |
Calandrùni | Usato anche nella forma “Calamandruni”. Seppure aventi forse un etimo diverso (Calandruni sarebbe letteralmente un ‘uomo di bell’aspetto’, dal greco kalòs, “bello” e andros, “uomo”) mentre ‘Calamandruni’ indicherebbe anche un uomo pigro, scansafatiche, se non addirittura un po’ stupido, i due termini a Palizzi erano usati pressoché indifferentemente per indicare un uomo di grande statura, dal fisico alto e possente, uno spilungone. |
Calascìndi | dispositivo di chiusura di porte e finestre. Si tratta di una sbarra di ferro che azionata in senso verticale apre o chiude la porta, serrando l’uscio. |
Calàta | discesa, pendìo, strada in zona scoscesa |
Càlia | ceci abbrustoliti. Una volta bolliti, si fanno arrostire insieme a sabbia di mare su un grande piatto di metallo, così da risultare molto croccanti (dall’arabo qyylìa, arrostito). |
Calìpsu | eucalipto |
Cambarùni | erbacea che cresce spontaneamente nelle campagne di Palizzi, i cui rami secernono un liquido bianco lattigginoso |
Campanàru | campanile |
Camùffu | fazzolettone colorato (una sorta di foulard) annodato a triangolo sul collo. Era usato dagli appartenenti ai primi ranghi della “Onorata società” (i nodi indicavano i gradi) |
Canigghja | crusca |
Cànnamu | (o cannamùsa) canapa, la si coltivava per ottenere fibre da farne filati. |
Cannaròzzu | pomo d’adamo, più genericamente, gola.. |
Cannarìni | gola |
Cannàta | unità di misura per l’olio nel frantoio, pari a circa 1,5 litri. |
Cannìci | erba selvatica dalle foglie lunghe coi margini seghettati e il fusto sottilissimo e molto lungo, simile alla canna, da cui il nome. I cannici secchi, essendo sottili e dritti, si utilizzavano per fare i maccheroni, arrotolandovi attorno la pasta e lavorandola con le mani aperte strofinate sopra una superficie. |
Cannìzza | stuoia di canne schiacciate e intrecciate, usata in vari modi, spesso appesa al soffitto della cucina per farvi asciugare fichi, castagne o altra frutta. |
Cantáru | quintale (dall’arabo qantār) |
Capiddhàru | merciaio ambulante che girava per i vicoli del borgo, raccattando gli stracci e comperando i capelli che le donne nascondevano nei buchi dei muri. Oltre che del capiddharu in giro per Palizzi, ho ancora un ricordo personale di alcuni di questi buchi, nel muro dell’abitazione dei miei nonni, dove le donne riponevano, dopo averli tagliati, i propri capelli, in attesa che arrivasse “u capiddharu”. Il pagamento, che io ricordi, non avveniva mai in moneta, ma attraverso la cessione di oggetti in plastica di uso casalingo, quali, lavamano, bacinelle, secchi… |
Capìnta | bastone dalla cima ricurva |
Capìzza | Redini ovvero corda e bardatura di muli, asini e cavalli. Modo di dire: <<Pari ‘nu sceccu tiratu da capizza>> per indicare un uomo privo di carattere e di personalità, che si lascia facilmente trascinare dagli altri.
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Carbùnchju | rigonfiamento ulceroso della pelle, foruncolo |
Carcàgnu | tallone |
Carcaràzza | gazza |
Carcariàri | fare chiasso, schiamazzi, vociare, rumoreggiare |
Cardàra | caldaia in rame per cucinare |
Cardiàri | riscaldare |
Cardùni | carciofini selvatici pieni di spine |
Caristùsu | raro, scarso |
Carrapòmpulu | specie di fungo molto simile al tartufo |
Carravùci | pianta commestibile, baccello di trifoglio selvatico, molto diffusa nel territorio di Palizzi |
Carriàri | trasportare. |
Carusèddhu | salvadanaio |
Càrzi | pantaloni |
Casalòru | casareccio, fatto in casa |
Càscia | cassa di forma parallelepipeda, di varie dimensioni |
Casciabbàncu | 1) cassapanca; 2) mobile vecchio e malmesso; 3) detto di persona messa male |
Casciuni | cassettone |
Cascittùni | 1) cassettone; 2) detto di persona falsa, ciarliera |
Casèddha | piccolo scompartimento simile ad un’aiuola, in cui veniva suddiviso il terreno dell’orto, del giardino, ecc. La suddivisione in casèddhi, realizzate con solchi robusti ai lati, consentiva di diversificare meglio le colture, agevolandone l’irrigazione. |
Casèntula | lombrico |
Càsu | formaggio |
Catalèttu | uomo malsano e cadente, non necessariamente “vecchio”, buono a nulla (Lu megghju malandrìnu era eu quand’era schèttu, ora mi maritai e diventai ‘nu catalèttu!). A Palizzi il termine non era mai riferito ad un oggetto, come avviene invece altrove, ad es. a Mammola. In lingua italiana, come è noto, “cataletto” è il Podio, generalmente in legno, su cui si espone la bara durante i riti funebri (catafalco). |
Caterinèddha | coccinella |
Catòju | locale tipo cantina per deposito sotto casa (da katogheion, porcile, stanza bassa) |
Catrìchi | trappole, tranelli (tu si bonu sulu pe’ jarmàri catrìchi!) |
Catùsu | ambiente stretto, buio e maleodorante |
Cavulicègghja | erbe di campagna commestibili |
Cazzìjàri | rimproverare con durezza |
Cazzijàta | duro rimprovero |
Ccattàri | comprare |
Ccattiàri | guardare di nascosto, sbirciare |
Ccèndiri | fiammiferi |
Ccèttu | in origine indicava quella piccola apertura nella parte alta di una porta, attraverso cui si introduceva il braccio per fermare la porta al montante. In seguito il termine Ccéttu è passato ad indicare generalmente l’imposta di una finestra. |
Cchètta | taglio, ferita, ma anche occhiello, asola |
Cchjappàri | acchiappare, catturare; anche litigare. |
Cciappa | pietra larga e sottile (dallo spagnolo chapa); famoso il gioco “di Cciàppi”. |
Ccicculatèra | macchinetta del caffè, fatta di lamiera o di rame. |
Cciuncàri | fare male, ferire (mi cciuncài, mi sono fatto male) |
Ceramìta | tegola (dal greco keramìs) |
Ceràsa | plr. ciliegie (dal greco kerasos, ciliegia) |
Cerasàra | ciliegio |
Chjica | piega |
Chjicàri | piegare, distorcere (chjicatùra ‘piegatura’) |
Chjòvicciculiàri | piovigginare |
Chjumpìri | finire, terminare, completare, maturare |
Chjùppu | pioppo |
Ciàgula | cornacchia o tordo; in senso figurato, persona che parla molto, ripetutamente. |
Ciancianèddu | sonaglino, campanellino |
Ciaramèddha | zampogna |
Cìciri | ceci |
Cilàri | ruzzolare, rotolare per terra qualcosa di rotondeggiante (cìlu, cìlu) |
Cimùrru | Il cimurro è una malattia contagiosa, che colpisce le bestie, specialmente i cani, manifestandosi soprattutto con sintomi a carico dell’apparato respiratorio. Dovrebbe corrispondere alla pleurite essudativa. Nel nostro dialetto il termine è usato anche in tono scherzoso per indicare un “forte raffreddore” nonché, in senso figurato, una persona di cattivo umore. |
Cinculìri | schiaffo |
Cìnniri | cenere |
Ciofèca | cosa di cattiva qualità; solitamente si diceva per il “caffè” o il liquore di cattivo gusto. |
Ciòlla | organo sessuale maschile. |
Ciùncu | storpio, persona a cui manca un arto; in senso figurato col significato di “indolenzito” (stasìra mi sentu ciuncu!) |
Citoiàri | lett., diventare acido; in senso figurato: prendersi d’ira, (Mi fici i mi citìu u sangu!). |
Còcciu | piccola quantità di qualcosa, chicco, granello, acino. Si diceva cocciu anche il piccolo foruncolo e cose affini. |
Còfâna | cesta di vimini o di liste di castagno |
Cofânèddha | piccola cesta utilizzata per trasportare per lo più frutta |
Cogghjìri | raccogliere; il termine era usato anche con il significato di “rincasare” (A chi ura ti cogghjìsti arzìra?, A che ora sei rincasato ieri sera?) |
Comòra | per ora, (accomòra, a quest’ora) (pe ‘ccomòra, per il momento) |
Conca | manufatto di legno di forma rotonda nel quale si appoggiava il braciere |
Conzàri | sistemare, preparare. |
Coppìnu | mestolo da cucina |
Cornèddha | peperoncino (plur.) |
Còrpa | botte, legnate, dari corpa: pestare qualcuno (ti dugnu ‘na passat’e copra!) |
Cortèa | pere cortèa: pere rosse cotte al forno. |
Cozzèttu | parte alta e posteriore del collo (corrispondente all’osso occipitale). |
Cozzicatùmbulu | capitombolo, capriola, cadere col capo in giù. |
Còzzu | 1) equivalente a cozzettu; 2) parte non tagliente dell’accetta |
Crèsia | chiesa. Numerosissime un tempo le chiese presenti nel territorio di Palizzi. La più importante, e ancora attiva, è la chiesa parrocchiale di Sant’Anna. Intestata inizialmente a S. Maria Theotokos (madre di Dio), fu eretta nel lontano 1084 dai padri basiliani, che l’amministrarono fino al 1477, anno in cui subentrarono i figli di San Paolo. Nel 1574 passò sotto l’amministrazione del Clero regolare diocesano. Vi si mantenne il rito liturgico greco-bizantino fino al 1567, quando in questa Chiesa fu imposto il rito liturgico latino. Pochi anni dopo, nel 1573, il rito greco cessò anche in tutte le altre chiese di Palizzi. La cupola a trullo presenta strutture arabo- siculo-normanne, mentre il campanile a pianta quadrata, del 1297, è di stile romanico. Pare che in origine la cupola e il campanile costituissero due corpi isolati: l’edificio centrale, infatti, con la sua struttura a tre navate, sarebbe un innesto del XVII sec. All’interno della Chiesa, in una nicchia dietro l’altare, si conserva ancora il gruppo marmoreo della statua di Sant’Anna, con la Madonna bambina, acquistata dal Principe di Roccella e Signore di Palizzi, Mada Bernardino nell’anno 1479. Un fatto di notevole interesse è il privilegio normanno del 1144, che la rese Chiesa protopapale (protopapa: dal greco protos=primo, papas=prete). Alla fine del 1600, il vescovo di Bova, Mons. Paolo Stabile, fece assumere in luogo del titolo di Protopapa quello di Arciprete. |
Criànza | educazione |
Cricòpa | albicocca |
Cridènza | oltre che indicare il mobile da cucina, nel quale si usava conservare olio, farina, pane, ecc. (equivalente dell’italiano “credenza”), il termine aveva il significato di “credito”: prendere qualcosa “a cridenza” ossia con l’impegno di pagare in futuro. |
Crita | argilla |
Crivu | setaccio |
Croccu | uncino, gancio per appendere qualcosa (dal francese crochet, gancio) |
Crucìtti | fichi secchi che si riempivano con noci e scorza di mandarino |
Cuccu | cuculo, rapace notturno; si dice anche di persona poco capace, distratta, poco attenta (pari nu cuccu!) |
Cúcuddhu | grandine (dal greco κούκουλλου) |
Cucùmmaru | corbezzolo (piante di cucùmmara crescevano abbondanti nella zona di ‘fundìa’). |
Cucùzza | zucca, ironicamente, la testa. |
Cucuzzèddha | zucchina |
Cuddhurèddhi | ciambelle di pasta frolla (cuddhùri o cuddhuràci) |
Cugghjuniàri | scherzare, prendere in giro qualcuno |
Cugnu | cuneo o anche raccomandazione. |
Culatùri | strumento usato per recuperare l’ultimo vino dalla fezza (feccia) |
Cumbògghju | coperchio |
Cumùni | l’edificio del Municipio. L’antica Casa Comunale, ancora oggi esistente come abitazione privata, si trovava tra la Rocca di Coppulina e l’attuale abitazione della famiglia Plutino. Composta da quattro stanze, disposte su due piani e adibite sotto a Caserma e sopra a Cancelleria Comunale, resterà funzionante fino al 1910, quando gli Uffici comunali cominceranno ad essere trasferiti da una casa privata all’altra. |
Cùnnu | genitali femminili |
Curcàri | coricare (vaju e mi curcu!) |
Curcògghiu | nocciolo della frutta |
Curcùcia | frattaglie di maiale residuate dalla preparazione delle frittole (v.). Si trattava, in pratica, di frammenti di muscoli, grasso, pelle, ecc., che restavano nel fondo della caldaia una volta levate ad una ad una tutte le frittole. Lasciati a raffreddare nella stessa caldaia, i curcucia venivano poi raccolti in appositi recipienti e ricoperti di un sottile strato di strutto (sajìmi) per la conservazione. |
Currìa | cinta dei pantaloni |
Curriàri | rincorrere; cacciare via (‘u curriaru i Bova, lo hanno scacciato da Bova) |
Curùna | pezzo di stoffa arrotolata sul capo per facilitare il trasporto di contenitori pesanti portati in testa. |
Cusculiàri | rompere, mandare in mille pezzi. |
Cúscussu | pastina piccola (dall’arabo kuskus) |
Custurèri | sarto per uomo |
Cutèddhu | coltello |
Cutra | coperta o trapunta pesante; in senso figurato: sfortuna, fardello (Cu m’a mandàu a mmia ‘sta cutra?) |
Cutrùzzu | regione lombare, genericamente, schiena (mbàscia lu cutruzzu e lavura!)
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Cutu | pietra utilizzata per affilare le lame di vari strumenti, coltelli, falce, ascetta…. |
Cuvertùri | pesante copriletto in tessuto artigianale |
Cuzzòmiti | soprannome dato dai Bovesi agli abitanti di Palizzi (cuzzomiti = dal naso tagliato) |
Cuzzulèddha | piccoli fichi secchi, cotti al forno. |