| |
Dassatìni | resti, briciole, rimasugli |
Ddhumàri | accendere (dal francese allumer) |
Ddimuràri | ritardare, tardare, prendere tempo (E quantu ddimurasti, ‘sta vota? E quanto tempo ci hai messo?) |
Ddrìttu | diritto, lineare; in senso figurato: uomo astuto, furbo. |
Ddubbàri | saziare, abbuffare |
Dduìna | un insieme pari a due o a “circa” due |
Dèda | pezzetti di legno resinoso che servivano per accendere il focolare o per fare da fiaccola |
Dijùnu | digiuno |
Dinòcchju | ginocchio |
Discurrùta | chiacchierata, attenta e approfondita (a volte sottintendendo per una questione piuttosto seria: veni ca ndi facìmu ‘na discurruta!) |
Disìu | voglia, macchia sulla pelle del neonato. Secondo la tradizione sarebbe causato dal desiderio non soddisfatto di cose alimentari da parte della madre incinta. Se, cioè, spinta dal desiderio, la donna incinta si fosse toccata in qualche parte del corpo, pensando all’alimento desiderato, quel disìu si sarebbe trasferito sul nascituro, lasciando una macchia simile, per forma o colore, all’alimento desiderato. |
Docchjàtu | colui che ha subito il malocchio |
Dòmitu | addomesticato, arrendevole. Il termine era usato essenzialmente per indicare il mulo o l’asino già addomesticato e pronto per i servizi. |
Dubbràri | zappare lo stesso terreno per due volte |
Dunniàri | attardarsi, prendersela comoda, perdere tempo. |