Sacchètta | tasca |
Saccoràfa | grosso ago per cucire i materassi e i sacchi |
Saiettùddhi | pianta commestibile molto diffusa nel territorio di Palizzi. |
Sajìmi | sugna, strutto di maiale. |
Salamìda | geco |
Salatùri | vaso di coccio cilindrico, con due manici, usato per mettere “sotto sale” vari alimenti (acciughe, olive). A volte anche per mettere in salamoia alcune carni di maiale. |
Sàmbulu | fessacchiotto |
Sangiuvanni | rapporto che si stringe fra due persone che diventano compari o comari, prevalentemente in derivazione di battesimi, cresime, testimoni di nozze |
Sanguinàzzu | sangue del maiale preparato come alimento, secondo una tradizione che variava da una zona all’altra. In alcuni paesi lo si consumava spalmato sul pane, come fosse una crema, dopo averlo preparato con l’aggiunta di mandorle, noci trite e bucce di mandarino. In altri, gli si aggiungeva, durante la preparazione, del vino “cotto” zuccherato, del caffè e persino una tavoletta di cioccolato. A Palizzi la preparazione non era così elaborata. Ricordo bene quei giorni. Mentre un paio di uomini uccidevano il maiale, scannandolo con un lungo coltello, qualcun altro, con un contenitore, recuperava il sangue fresco mentre sgorgava dal collo dell’animale e con l’aiuto di un mestolo di legno lo girava di continuo per diversi minuti, affinché non coagulasse. Dopodiché lo si versava nelle budella del maiale e lo si metteva a bollire fino a quando non avesse raggiunto una certa densità. Una volta raffreddato, lo si poteva mangiare, tagliato a fette, come companatico o anche fritto con le uova. |
Santupòlitu | Sant’Ippolito, località di campagna a nord di Palizzi, dove forse sorgeva il famoso monastero basiliano di Sant’Ippolito, la cui Badia comprendeva anche il Convento di Santa Maria di Alìca in Pietrapennata. Che il Monastero di Sant’Ippolito in Palizzi si trovasse proprio in quella zona di campagna è però soltanto un’ipotesi: nessuna traccia è mai stata trovata. Il passato glorioso di questo monastero è tuttavia comprovato da numerosi documenti storici, come la Bolla episcopale del 15.10.1477 del Vescovo di Bova, che conferiva l’abbazia Archimandritale di Sant’Ippolito di Palizzi al monastero di Taranto nonché l’Atto Notarile del 13.09.1622 con il quale il Capitolo della Chiesa di Bova, ne rivendicava i diritti di collazione, comprendendovi anche quelli di Santa Maria di Alìca in Pietrapennata e di Santa Maria dei Tridetti nel territorio di Staiti. Esiste poi un documento scritto di proprio pugno dall’ultimo Abate del monastero, il quale, prima di abbandonarlo, fece l’inventario delle poche cose rimaste e che portava con sé: <<cugnata (scure) una; zappa una; calderocto uno; saccorum de lecto unum; paro uno de lenzuli; coperturi duji; jumenta una…>>. La fantasia popolare narra che, prima di partire con la sua giumenta, l’Abate abbia sotterrato da qualche parte una grande giara con dentro gli oggetti religiosi della Chiesa, che in quanto oggetti di culto, avrebbero dovuto restare presso il territorio del convento. Inutile dire che quella giara non è mai stata trovata. Ma non doveva comunque contenere molto, visto che da un altro documento sappiamo che, all’epoca del vescovo Olivadisio (1627- 46) i beni delle chiese dei tre rispettivi monasteri di Palizzi passarono al seminario di Bova, assieme ad una bellissima statua in marmo custodita in uno di essi. |
Sarvètta | tovagliolo |
Sarzìzzu | salsiccia fatta con carne di maiale tritata, salata, insaporita con semini di finocchio selvatico e peperoncino, ed insaccata a mano nelle budella di maiale. Si faceva seccare lasciandola per diversi giorni appesa al fumo del focolare. |
Sbacantàri | svuotare, togliere tutto. |
Sbarrogàri | spaventare (Mi facisti i’ mi sbarrògu!) o avere eccessive preoccupazioni (E bonu, dai, non ti sbarrogàri!) |
Sbilèncu | fuori di testa |
Sbilunàri | uscire di senno dopo una grossa arrabbiatura |
Scagghjòla | becchime per uccelli, fatto di chicchi e piccoli semi ridotti a pezzettini. |
Scalafàsciu | espressione di meraviglia |
Scalùni | gradino |
Scamògghji | falsi pretesti (dallo spagnolo escamujo) |
Scampàri | oltre che nel significato, comune all’italiano, di ‘sfuggire a un rischio’, ‘essere salvi da un pericolo’, il termine era usato con il significato di ‘spiovere’ (Staci ancora chjovèndu o scampàu?) |
Scancaràtu | in riferimento alla persona, nel significato di sconquassato, sfasciato, che non si regge più in piedi. |
Scárda | scheggia di legno (dal francese escarde) |
Scarfògghji | foglie secche usate anche per riempire i materassi. |
Scarpàru | calzolaio |
Scarpèddhu | scalpello (mazzètta e scarpèddhu) |
Scàsciu | sventura, maledizione (usato in frasi come: Chi mmi ndà’ scasci! equivalente all’italiano ‘Ti venisse un accidente’; oppure nella classica espressione: Oh scàsciu meu!, Oh che sventura!) |
Scàtturu | verme roditore delle patate; scarabeo. |
Sceccu | asino |
Schettu | scapolo (u megghju malandrìnu era eu quand’era schettu, ora mi maritài e diventai nu catalèttu); Schetta: nubile. |
Schiantàrsi | prendersi di paura (lo stesso che “spagnarsi”) |
Schìcciu | sorgente d’acqua naturale |
Scialàri | gioire, divertirsi, godere. |
Sciamàrru | piccone (con un lato di cornu e uno di tagghju) |
Sciamparàtu | sciatto, malandato, dall’aspetto trascurato e disordinato. |
Sciancàtu | zoppo o persona che s’è fatta male ad una gamba. |
Sciàrra | litigio violento, lotta, rissa. |
Sciarriàri | litigare |
Scifu | trogolo di pietra usato come mangiatoia per i maiali (dal greco skyphos, coppa) |
Sciorbàri | accecare |
Sciorta | diarrea. |
Scìrpiti | cianfrusaglie, oggetti inutili. |
Scirubètta | specie di granita fatta con la neve fresca e l’aggiunta di vino cotto (mosto bollito e ridotto almeno ad un terzo del volume iniziale). Poiché la bevanda ottenuta non era sempre di particolare gradevolezza, il termine è diventato sinonimo di bevanda sgradevole (come dire: un miscuglio d’acqua sporca). |
Sciucàtu | asciutto; magro. |
Sciunètta | accetta |
Sciuni | scure (simile alla ‘sciunètta, ma più grande) |
Sciuppàri | strappare |
Sconzu | fastidio, disturbo. |
Scoppulùni | colpo dato con la mano aperta dietro la nuca |
Scorciàri | graffiare o graffiarsi |
Scorcicòddhu | schiaffo molto forte, sberla |
Scornacchiàtu | faccia tosta, arrogante. |
Scornu | vergogna |
Scostumatìzza | azione scortese, atto di sfrontatezza e di maleducazione. |
Scotulàri | scuotere violentemente per far cadere. |
Scrìnia | riga dei capelli, che li divide al centro del capo. |
Scrìsa | ortica |
Scrupìu | assiuolo |
Scruscìri | fare rumore, tintinnare, rumoreggiare. |
Scrùsciu | rumore |
Scugnàri | lavorare la terra per la prima volta, eliminando sassi e radici inutili. |
Scumbogghjàtu | scoperto. |
Scumpitàri | scontare, detrarre dal conto. |
Scunchjudùtu | detto di persona non soltanto inconcludente, ma anche priva di iniziativa. |
Scupètta | fucile a due canne. |
Scuràta | ‘a’ scurata, subito dopo il tramonto, appena inizia il buio della sera. |
Sdillabbràtu | di tessuto che si è lasciato andare, allargato (stu maglioni si sdillabbràu), il contrario di infeltrito |
Sdillabràri | slabbrare, rendere meno elastico un tessuto. |
Sdirrupàri | cadere in malo modo, dirupare rovinosamente (come precipitando in un dirupo) |
Sdivacàri | svuotare, versare, travasare; |
Sdogàri | Lussare, slogare. |
Sdunàri | intestardirsi (e chi ti sdunàu ora?), ma anche provare fastidio per qualcosa (ma comu mi sdùna sta cosa!). |
Sdunchjàri | sgonfiare |
Secria | bietola |
Settimìnu | mobile cassettiera in legno, da 7 cassetti, presente di solito nelle camere da letto. |
Sgagghjàri | aprire un po’ la porta o l’imposta (‘na porta sgagghjàta: una porta socchiusa). |
Sgarrári | 1) sbagliare, mancare in qualcosa, non osservare un dovere (dal catalano esgarrar); 2) strappare con forza |
Siccàgnu | terreno arido, secco, non irriguo (pumadòra i siccagnu: pomodori che crescono agevolmente in terreno non irrigato). |
Sgrancinàtu | graffiato |
Siddhiàri | 1) arrabbiare, infastidire (mi fascisti i mi siddhìu!; 2) annoiare (mi siddhiài standu fermu); |
Sghìnciu | striscio (mi pigghjau ‘i sghìnciu, mi ha preso di striscio). |
Signàli | starnuto |
Simána | settimana (dal francese semaine) |
Simpéttiru | consuocero |
Sìnga | linea |
Sipàla | siepe fatta di sterpi, per limitare o recintare. |
Smendàri | rovinare il fisico (cu’ ddhà caduta rrestàu smendàtu, poverettu!) |
Società | (“a società”). Nome con il quale era indicato quel caseggiato sito nel rione Manganello, che un tempo era stata la Sede Sociale ed il Magazzino Cooperativo della “Società Operaia di Mutuo Soccorso”, costituitasi a Palizzi nel 1893, con l’obiettivo di portare aiuto al ceto operaio. Il suolo per l’edificazione di quella Sede era stato offerto gratuitamente dal barone don Carlo De Blasio. Nel 1937, in virtù di un Atto di donazione da parte di 14 ex soci, allineati tra i fascisti, la proprietà della casa passò tra i beni del Partito Fascista, sciolto il quale, la Società venne assunta dall’Intendenza di Finanza. Dopodiché iniziò un lungo periodo di incuria e trascuratezza. Per molte generazioni, inclusa la mia, le vecchie mura di quei due grandi saloni, da tutti chiamati “a Società”, hanno fatto da cornice ai giochi vandalici dei ragazzini. Soltanto in anni recenti l’Amministrazione Comunale di Palizzi ha provveduto al suo restauro. |
Spagnàri | incutere paura (lo stesso che “schiantari”); spagnàrsi: provar timore di qualcuno o qualcosa. |
Spagnatàru | fifone, pauroso. |
Spaparanzàta | spavalderia, spacconata, manifestazione pubblica esagerata. |
Sparagnàri | risparmiare, mettere da parte, non sprecare. |
Spasa | vassoio di vario materiale, usato spesso per offrire dolci, confetti, ecc. |
Spasulàtu | povero disgraziato, spiantato privo di mezzi e di denaro. |
Spera | 1) raggio (di sole, di luce): ‘Na spera ‘i suli: un raggio di sole; Sgagghja a finestra ‘i trasi ‘na spera ‘i luci: apri un po’ la finestra affinché possa entrare un raggio di luce . 2) lancetta dell’orologio: a spera du’ larògiu. |
Sperdìri | dimenticare (mi sperdìa i fazzu ddhu lavuru!) |
Spicàri | maturare eccessivamente. |
Spìddhissa | scintilla |
Spigghjàri | incitare contro (tipicamente, i cani: Vidi ca ti spigghju u cani: attento che ti incito il cane contro). |
Spijàri | domandare. |
Spilu | voglia, desiderio. |
Spìngula | spilla. |
Spinnòzza | bastoncino di legno usato per tappare il buco fatto nelle botti per spillare e assaggiare il vino (detto anche piruneddhu) |
Spiritàtu | invaso, indemoniato. |
Spìtu | spiedo |
Spizziculiàri | mangiare a piccoli bocconi, stuzzicare qualcosa a merenda, a colazione, ecc. |
Spolissàra | specie di ginestra molto spinosa con fioritura profumata e dal colore giallo intenso |
Spumicàri | levare la ‘fattura’, togliere il malocchio. |
Spuntu | vino dal sapore acidulo, tendente all’aceto, che sta per andare a male. |
sputàzza | saliva |
Ssettàri | sedere |
Ssicutàri | mandare via qualcuno, allontanare (solitamente rivolto agli animali) |
Ssundìri | sciogliere, slegare. |
Stàbbiu | letame, concime naturale |
Stagghjàri | il cessare di scorrere di un liquido, detto in particolare del sangue. |
Stàggia | asse in legno o in alluminio, utilizzata dai muratori per rifinire l’intonaco dei muri o il massetto delle pavimentazioni. |
Staggiùni | estate; anche se con il tempo si è affiancato pure il termine “stati” (da ‘estate’), quello usato regolarmente è rimasto: Staggiùni. |
Stampa | ‘na stampa: un pochino, una piccola quantità, una piccola parte. |
Sticchju | organo genitale femminile, vulva (lo stesso che Nnìcchju). |
Stigghiòli | budella del capretto. |
Stimperàri | lanciare con violenza |
Stipu | mobile della cucina, adoperato per riporvi oggetti d’uso domestico (stipo). |
Stomachiàri | disgustare |
Stomàtico | dolce tipico dei paesi del reggino. Si tratta di un biscotto secco, di colore ambrato, molto profumato (il nome pare derivare dal greco “to stoma”, bocca). |
Stráci | cocci di pietra, più propriamente di creta |
Stracìa | terreno argilloso (da stracu). Nome originario dell’attuale centro abitato di Palizzi Marina, che ancora agli albori del XIX secolo veniva classificato come “terreno seminatorio di Stracìa”. Pare che il nome Stracìa sia subentrato a quello precedente di Coricèa, uno dei tanti villaggi pagani (come Dèlia, Peripoli, ecc.) che esistevano disseminati qua e là lungo la costa della punta calabra, nei primi quattro secoli dopo Cristo, prima di scomparire per effetto delle scorrerie dei pirati del mare. |
Stracòzza | tartaruga (dal greco “òstrakon, coccio) |
Stratìa | bilancia usata dai macellai |
Strèusu | strambo, strano (riferito all’individuo). |
Stricàri | strofinare. Il termine era molto usato in senso figurato, con il significato di offendersi, risentirsi (Sa’ stricàu: si è risentito / Sa’ strica: gli brucia). |
Strippa | sterile, infeconda (riferito ovviamente ad una femmina) |
Stroffa | piccolo cespuglio |
Stròlicu | detto di persona un po’ stramba, che parla senza senso o commette azioni incoscienti. |
Struncunàtu | mi sentu struncunàtu, mi sento a pezzi, tutto rotto. |
Stronàtu | stordito, intontito, ‘nel pallone’. |
Stroppicàri | inciampare |
Stròsciulu | oggetto senza valore |
Strudìri | consumare, logorare (Strudùtu: consumato dall’uso). |
Strusciàri | brindare |
Struzzàri | urtare, scontrarsi. |
Stuiàri | pulire con un panno, asciugare. |
Stuppàgghiu | tappo, turacciolo. |
Stutàri | spegnere (stuta u focu!); chiudere, interrompere (stuta a luci, a machina) |
Sùrfuru | zolfo, in particolare quello in polvere usato in agricoltura. |
Suricàra | trappola per topi |
Sùrici | topo (dal francese souris) |
Suriciòrbu | talpa |
Surra | la parte rossa, magra e polposa della carne. |
Surva | pl. di survu (sorbo). “I surva”, frutti del sorbo domestico: si raccoglievano acerbi in autunno, per essere consumati in inverno. |
Susumèlla | biscotto di pasta frolla, ricoperto da un sottile strato di cioccolato. |